Regime forfetario in bilico tra conferma e abrogazione

Sulla conferma del regime forfetario fino a 65.000 euro aleggia un velo di incertezza: la legge di Bilancio 2020 potrebbe decretarne l’abrogazione, a dispetto del boom di adesioni registrato nel corso di quest’anno. Al di là delle valutazioni politiche, una considerazione va comunque tenuta in conto: un ennesimo cambiamento delle regole fiscali sarebbe devastante in una economia, come quella italiana, in cui chiunque intraprenda un’attività economica non può mai godere di un quadro normativo stabile e di in un orizzonte temporale di medio periodo per poter pianificare le proprie scelte di investimento. Rimettere in discussione il regime forfetario andrebbe a danneggiare migliaia di esercenti attività d’impresa e lavoro autonomo.Alcune indiscrezioni di stampa riportano che il nuovo Governo rosso-giallo starebbe pensando di abolire il regime forfettario agevolato per gli autonomi, che la legge di Bilancio 2019 aveva allargato fino al limite di 65 mila euro dei ricavi/compensi e sul cui reddito determinato forfettariamente si applica una aliquota del 15 per cento.Immediatamente, però, l’on. Luigi Marattin, deputato di Italia Viva, ha dichiarato che il nuovo partito nato dalla scissione del PD (ora fondamentale per la nuova maggioranza di Governo, n.d.A.) la pensa in maniera completamente opposta.“Non chiederemo alcuna eliminazione dello strumento”: sono queste le parole con cui l’economista vicino a Matteo Renzi cerca di allontanare le ombre che alcune cassandre politiche stanno cercando di far calare sulla imminente elaborazione della legge di Bilancio 2020.Non è un mistero, infatti, che una parte della politica non abbia mai amato l’ampliamento disposto dalla legge di Bilancio 2019 di un regime che, al contrario, è stato enormemente apprezzato dal “popolo delle partite IVA” in quanto esso ha generato un veicolo di fiscalità di vantaggio per persone fisiche esercenti imprese, arti e professioni.Ciò che però, in queste ore, non dovrebbe essere dimenticato è che questo regime ha solamente agevolato coloro che non hanno particolari tutele dal rischio della quotidianità professionale che, in molti casi, subiscono una discontinuità reddituale e sono esposti anche alla precarietà previdenziale della gestione separata INPS.Ed è proprio il successo dell’ampliamento dell’agevolazione ad aver dimostrato che con questa semplificazione dagli adempimenti fiscali e contabili è stato davvero avviato un percorso virtuoso per migliaia di contribuenti (soprattutto giovani), i quali hanno ricominciato a respirare il piacere di lavorare più per sé stessi che non per un socio pubblico occulto e maggioritario.Puntuali, tuttavia, come un orologio rotto, con il cambio degli equilibri politici governativi sono immediatamente tornati alla ribalta i puristi della capacità contributiva, vale a dire politici e commentatori vari che si stanno stracciando le vesti in ragione del fatto che questa imposta sostitutiva sferrerebbe un duro colpo all’eguaglianza costituzionale IRPEF tra i contribuenti, violando l’imposta progressiva sui redditi delle persone fisiche.Ancora una volta, però, non si riesce a capire fino in fondo perché tutti i dubbi sull’equità di un sistema, ritenuto troppo turbato dai prelievi flat, emergano solo quando ad essere premiati sono i lavoratori autonomi, mentre invece da più lustri vengono riproposte imposte sostitutive su affrancamenti delle plusvalenze patrimoniali e un prelievo fiscale non progressivo colpisce ormai generalmente sia i redditi di capitale che i redditi immobiliari tramite la cedolare secca.

Dall’abrogazione effetti potenzialmente devastanti

Anche coloro che, quindi, non riescono a comprendere che quando il Fisco premia anche il lavoro produttivo, e non più solo la rendita, occorrerebbe salutarlo con i fuochi d’artificio, dovrebbero almeno capire che un continuo cambiamento delle regole fiscali sarebbe comunque devastante in un Paese in cui chiunque intraprenda un’attività economica non può mai godere di un quadro normativo stabile e di in un orizzonte temporale di medio periodo per poter pianificare le proprie scelte di investimento.Solo con grave mediocrità politica, allora, si potrebbe immaginare di modificare nuovamente il modello impositivo in argomento a distanza di un solo anno, devastando così la tutela dell’affidamento del contribuente ed ignorando anche come, in ambito europeo, una franchigia da IVA sia stata accordata dal Consiglio dell’UE per le piccole imprese anche a Polonia, Estonia, Lussemburgo, Croazia, Lettonia, Romania, Paesi Bassi, mentre un regime forfettizzato di pagamento ai fini delle imposte sul reddito e dei contributi sociali sia presente anche in Francia per semplificare gli adempimenti dei contribuenti minori e per finalità agevolative di riduzione del carico fiscale.In definitiva, quindi, rimettere in discussione il regime forfetario andrebbe a danneggiare migliaia di esercenti attività d’impresa e lavoro autonomo, che hanno avviato o trasformato le loro attività confidando nel legislatore. E anche il mero ridimensionamento della portata del regime, al fine di riportarlo al suo limite originario ante-2019, sarebbe difficilmente tollerabile in un’ottica di serietà del sistema.Ovviamente, invece, ben si potrebbe puntare a contrastare comportamenti impropri ed elusivi legati al fatto che la fuoriuscita dal regime si verifica soltanto nell’anno successivo al superamento della soglia dei 65.000 euro, il che può rendere conveniente pianificare andamenti anomali dei ricavi/compensi per massimizzare i vantaggi del particolare regime, ma non vi è dubbio che abrogare o depotenziare i limiti quantitativi significherebbe riportare molti contribuenti a stagnare nella marginalità economica, dopo essere stati finalmente pervasi da una ventata di aria fresca foriera di effetti benefici anche sul versante dell’emersione della base imponibile reddituale e previdenziale che, ovviamente, con un’aliquota del 15% di imposizione nessuno ha interesse ad occultare.È, infatti, oltremodo certo che all’eliminazione del regime agevolato corrisponderebbe, soprattutto al Centro-Sud, un incentivo al lavoro completamente sommerso e ad un’economia “in nero” del tutto sconosciuta al Fisco

FONTE: Ipsoa 25 settembre 2019